La porta aperta di Roberto Mancini

La porta aperta di Roberto Mancini

Juric su Soulè: “Prima dell’infortunio ha giocato tantissimo. Ci vuole pazienza, non deve volere tutto e subito”

LR24 (AUGUSTO CIARDI) – Non c’è una trattativa ma un’apertura sì. Quella di Roberto Mancini. La Roma è sempre a rischio terremoto e soprattutto è il club italiano meno prevedibile. Quasi nessuno era a conoscenza della trattativa con Mourinho. Nessuno sapeva che di prima mattina a metà gennaio il portoghese sarebbe stato esonerato. Nessuno sapeva che sarebbe toccato a De Rossi lo stesso destino e pochi giorni dopo nessuno sapeva che avrebbe salutato la Souloukou. Questa è la verità inconfutabile.

I Friedkin sono abili a spiazzare, anche perché i fulmini a ciel sereno sono spesso privi di logica. Privi di senso se si torna alla cacciata di De Rossi. Ora in panchina c’è Juric ma la panchina scricchiola dal primo giorno. Il croato ne è consapevole. Il mestiere comporta anche questo. Vivere sulla graticola, soprattutto se si lavora con un gruppo che non manca mai occasione di ricordare quanto sia difficile elaborare il lutto per la perdita del precedente allenatore. Nonostante i baci e gli abbracci a favore di telecamera, la vittoria contro il Torino serviva affinché passasse la nottata. E intanto si continua a parlare di colloqui con vari allenatori. Con De Rossi, che tornerebbe, forse, ma a patto che assieme a lui arrivasse una nuova figura dirigenziale “di campo”. Con Ranieri, che dopo avere annunciato il ritiro cadrebbe in tentazione soltanto per la Roma.

Per Roberto Mancini più che di colloqui parliamo di apertura. Dell’ex tecnico della nazionale italiana. La Roma per lui rappresenterebbe una sfida da raccogliere, anche perché avrebbe voglia di battere lo scetticismo di molti tifosi che in lui vedono un calciatore della Lazio campione d’Italia e poi anche l’allenatore della Lazio stessa. Mancini non è laziale, per quanto non abbia mai negato, legittimamente, di avere vissuto in biancoceleste anni indimenticabili. Mancini è un professionista che dopo tanti anni vorrebbe tornare a dirigere un club. Convinto che la rosa della Roma valga molto di più di ciò che sta maldestramente dimostrando in questo malinconico avvio di stagione. Entrerebbe nello spogliatoio con un ascendente adeguato per non farsi mettere i piedi in testa da un gruppo squadra capriccioso e privo di personalità. Avrebbe inoltre le caratteristiche del frontman che purtroppo deve avere l’allenatore della Roma, che a causa di assenza reiterata di dirigenti carismatici (nessun dirigente, tecnico e amministrativo, della Roma stelle e strisce dall 2011 a oggi è stato all’altezza di questo ruolo, che nel terzo millennio deve essere anche mediatico), è costretto a esporsi spesso anche per questioni extra campo.

Ci stava riuscendo Mourinho fino a quando non entrò in rotta di collisione con il presidente e con dirigenti e maestranze che remavano in un’altra direzione e che ora come il portoghese non lavorano più nel club. Ci stava provando De Rossi, con tutti i limiti di un tecnico alle prime armi non solo in campo ma anche quando è stato chiamato a trattare argomenti molto più grandi di lui, tipo Dybala. Roberto Mancini ha rotto con l’Arabia Saudita, dopo un solo anno di contratto a fronte di un quadriennale da oltre 20 milioni a stagione. In queste ore si parla di un maxi assegno da incassare per chiudere i conti, per la libertà professionale che, se fosse possibile, permetterebbe a Mancini di tornare in pista anche prendendo in esame la Roma. Non certo con un contratto a tempo determinato fino al prossimo 30 giugno. Ma a medio-lungo termine. Perché la Roma lo affascina, nonostante per lui si parli anche di Milan, (ma il marchigiano preferirebbe il club giallorosso), e si parla dei soliti club inglesi, che ancora si ricordano la sua storica vittoria in campionato a capo del Manchester City. Se Friedkin decidesse di fare sul serio con Mancini, lui verrebbe alla Roma.

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